di Dora Vedova

Il genio letterario di Irène Némirovsky si intreccia con la sua vita straordinaria: nasce nell’impero russo nel 1903 in una ricca famiglia ebrea. Il padre è banchiere e la madre, giovanissima, non ama la figlia, e decide presto di affidarla alla governante francese, così che Irène parlerà il francese prima del russo.

La famiglia Némirovsky dovrà fuggire più volte: dai pogrom antisemiti prima e dalla rivoluzione bolscevica poi, passando dalla Crimea all’Estonia, dalla Finlandia alla Svezia, per approdare infine a Parigi. Qui Irène trascorre una giovinezza travolgente dopo un’infanzia di solitudine. A diciott’anni incontra Michel Epstein, banchiere come il padre, da cui avrà due figlie. È un matrimonio felice, Epstein la appoggia e la sostiene nella sua vocazione di scrittrice. Comincia a scrivere molto giovane e riscuote subito grande apprezzamento sia dal pubblico che dalla critica. Il romanzo David Golder, tra gli altri, diventa un best seller da cui vengono tratti un film e un’opera teatrale.

copertina della prima edizione di David Golder, di Irène Némirovsky (Grasset, 1929)

La sua biografia ispira tutti i suoi scritti, non potendo che raccontare la realtà che conosce: l’alta borghesia ebraica secolarizzata, la leggerezza, la spietatezza e bruttura di taluni, come David Golder, banchiere che ricorda molto la figura del padre. La sua scrittura chiara e schietta, profondamente ironica (e soprattutto autoironica, come da tradizione chassidica) viene a volte mal interpretata al punto da venire accusata di antisemitismo e “odio di sé”.

Da questa accusa non si difende se non reclamando la sua libertà di scrittrice di scrivere ciò che vuole. Sua figlia Denise ritiene offensive quelle critiche:

«Lei non faceva altro che descrivere un ambiente sociale che conosceva molto bene. Era il mondo dei salotti parigini, dei ricchi finanzieri, degli affaristi e dei commercianti… Tra di loro c’erano anche persone avide e senza scrupoli, come ci sono ovunque. […] Mia madre non nutriva nessun odio nei confronti della sua origine ebraica. Il disprezzo verso se stessi attribuito agli ebrei è un concetto falso, preso e ripreso dai giornalisti come strumentalizzazione»1.

Irène Némirovsky morì deportata nel 1942, e la stessa sorte toccò poi al marito. Entrambi hanno ingenuamente confidato nella protezione della Francia e non hanno cercato di fuggire.
Molti anni dopo, le figlie hanno ritrovato il manoscritto di Suite française, che riporterà Némirovsky alla ribalta dopo anni di oblio, insignendola del Prix Renaudot, assegnato per la prima volta a un romanzo postumo.

copertina della prima edizione di Suite française, di Irène Némirovsky (Éditions Denoël, 2004)

Nel saggio La Question Némirovsky, la studiosa Susan Rubin Suleiman ristabilisce le verità umane e storiche sull’affaire Némirovsky attraverso un’analisi comparativa rigorosa dei suoi testi, ma soprattutto calandosi nelle dinamiche di quell’epoca sconvolta dalla guerra e dalle persecuzioni razziali. Le scelte della Némirovsky, come la sua collaborazione con giornali di destra apertamente antisemiti, vanno considerate in quest’ottica, essendo le contingenze materiali molto più pesanti per i proscritti della società.

_____________________________
1Per le fonti dei virgolettati si veda l’intervista di Marina Gersony a Denise Epstein.