di Dora Vedova

Tra le strenne natalizie francesi, La Robe. Une histoire culturelle. Du Moyen Âge à aujourd’hui (L’abito. Una storia culturale. Dal Medioevo a oggi) è un bel volume a metà tra la ricerca storica e sociologica, pieno di belle illustrazioni e aneddoti divertenti.

Georges Vigarello, l’autore, è uno storico specialista delle rappresentazioni del corpo. Nelle sue ricerche è interessato soprattutto al contesto che rende la storia “culturale”, perché seguire l’evoluzione degli abiti femminili lo porta contemporaneamente sulle tracce del percorso di liberazione della donna, dagli abiti che in passato doveva indossare fino a quelli che oggi (non ovunque, ancora!) sceglie di portare.

copertina di La Robe. Une histoire culturelle. Du Moyen Âge à aujourd’hui, di Georges Vigarello (Seuil, 2017)

L’excursus di usi e costumi vestiari ha inizio nel Medioevo, epoca in cui uomini e donne abbandonano i camicioni indifferenziati per distinguersi gli uni con l’uso dei pantaloni e le altre con abiti piuttosto rigidi che coprono fino a terra la parte inferiore del corpo. È l’epoca della donna-fiore: dalla rigidità del busto stretto nel corsetto emergono visibili solo il collo e il viso, paragonabili a un fiore nel vaso. Se gli uomini sono favoriti nella mobilità e il lavoro, la donna-fiore intraprende la via della staticità: è rigida, ieratica, atta al ricevimento e all’accoglienza, non al lavoro.

Jean Fouquet, Agnès Sorel en Madone, 1456 (Vigarello, 2017)

Col Rinascimento si celebrano il gusto, l’estetica, la geometria, la prospettiva. Tutto ciò si riversa nella cura e negli ornamenti degli abiti della donna-decoro, ancora più impedita dalle vesti che la stringono nel vitino per scendere pesantemente ad anonimizzare la parte bassa e a evidenziare il busto e il viso, che risplendono come una statua nel piedistallo. La donna e il suo abito sono bellezza da osservare, statue immobili che trovano sfogo solo nell’interiorità.

Finalmente arriva la rivoluzione francese a spazzare via piedistalli, fiori e decori e a permettere un primo passo verso la liberazione della donna. Gli abiti si accorciano, sono più trasparenti e lasciano percepire la silhouette, cadono morbidi più vicino al corpo per non intralciare il passo e il movimento.

Ma la storia è fatta di avanti e indietro, e la leggerezza della rivoluzione è travolta dal peso della Restaurazione. Le donne vengono ingabbiate nei baldacchini delle crinoline, il corpo è di nuovo nascosto e impedito sotto pomposi pizzi, si torna a strizzare la vita per renderla esile, a simboleggiare la delicatezza (e debolezza) femminile.

Constantin Guys, Two Women, 1891 (Vigarello, 2017)

Così trascorre l’Ottocento e si arriva al Novecento, epoca di tubini e tailleur scolpiti sulle forme del corpo e sempre più fluidi nei movimenti. La donna partecipa con l’uomo dello spazio pubblico, prende parte ai divertimenti, allo sport. Il vestito segue la forma del corpo, ne sposa le forme, gli abiti sportivi diventano da città. La fluidità si impone piano piano fino al trionfo del ventesimo secolo. Gli anni Trenta sanciscono l’entrata nella modernità, il passaggio dal giogo dell’artificio al trionfo dell’anatomia.

Henri Lebasque, La cigarette, 1921 (Vigarello, 2017)

Oggi l’imbarazzo della scelta tra un vestito, una gonna o un pantalone rispecchia la raggiunta libertà delle donne. Secondo l’autore. Secondo me, l’equazione è ancora lontana dalla perfezione, ma siamo sulla buona strada.