di Dora Vedova

Un libro scritto seguendo il filo di vicende familiari che si intrecciano a molte altre, storiche e umane, e che si concentrano in un luogo e in un tempo precisi. Patrick Straumann comincia a seguire le migrazioni del nonno e finisce sulle tracce di altri passaggi: di persone famose, anonime o poco note, intellettuali, ribelli, artisti, apolidi e rifugiati che si muovono per Lisbona tra il 1940 e il 1941.

La Seconda guerra mondiale è appena scoppiata, la Germania nazista è in piena espansione, Parigi è già caduta. In quella che iniziò con uno scatto da guerra lampo, non restano più molte città aperte che facciano da ponte per le Americhe permettendo di lasciare l’Europa in tumulto.

In un clima di stupore incredulo e frenetico, tra le vie di Lisbona che l’autore sa descrivere così bene per averle percorse in lungo e in largo, si incontrano o si sfiorano personaggi quali Max Ernst, pittore, Hannah Arendt, filosofa, Saint-Exupéry, scrittore; o ancora il surrealista André Breton, il regista Jean Renoir, l’artista e dissidente tedesco Roman Vishniac. Chi in America, chi poi di ritorno in Europa, questi intellettuali e artisti furono i fautori del pensiero rivoluzionario da cui ancora dipendono e sono influenzati il pensiero e l’arte contemporanei.

Straumann li presenta in brevi capitoli a mo’ di vignette accompagnate da documenti e foto d’epoca. E lo fa dopo aver parlato del nonno Tadeus Reichstein, inventore della sintesi della vitamina C e Nobel per la chimica, salpato da Lisbona per un viaggio negli Stati Uniti da cui tornò per rifugiarsi in Svizzera e di lì organizzare e sovvenzionare la fuga di molti ebrei dalla Francia occupata.

Lisbona era allora sotto la dittatura di Salazar, che rendeva la città al tempo stesso accogliente e chiusa e che non ha impedito che molti esiliati vi trovassero rifugio. I cinema davano Ninotchka e le librerie esponevano in vetrina le opere altrove bandite di Romain Rolland e Stefan Zweig.

Nella città che, con le parole di Giraudoux, riuniva «tutto ciò che l’Europa aveva perso o abbandonato», si potevano incrociare lo scrittore tedesco Alfred Döblin, il giornalista ungherese Arthur Koestler, il futuro illustratore del New Yorker Saul Steinberg, la famiglia Mann e il drammaturgo Franz Werfel con sua moglie Anna, compositrice e già moglie di Mahler.

Oltre ai nomi conosciuti, l’autore rende omaggio anche a nomi altrimenti anonimi come il console portoghese a Bordeaux Sousa Mendes, che rischiò la vita firmando visti che salvarono molti ebrei.

L’ultimo capitolo è dedicato a Franz Blei, scrittore e amico di Kafka, la cui sorte ricorda quella dell’eclettico e geniale Walter Benjamin che a Lisbona non arrivò mai.

Passeggiata in una città melanconica e generosa, evocazione di figure importanti, descrizione di attese, paure e partenze, Lisbonne ville ouverte, per le edizioni Chandeigne, è un’indagine sull’emigrazione di ieri che ricorda, mutatis mutandis, la crisi dei migranti nell’Europa di oggi.