di Dora Vedova

La storia dell’editoria araba – intesa in senso geografico come relativa ai Paesi del Maghreb e della Penisola arabica – è molto recente. Se in Europa, e in particolare a Venezia, si parla delle prime case editrici già dalla fine del XV secolo, nel mondo arabo un secolo più tardi troviamo solo tipografie. Per una realtà editoriale vera e propria si deve aspettare la seconda metà del secolo scorso, con le prime case editrici al Cairo e a Beirut.
La principale causa di uno sviluppo dell’editoria così lento, faticoso e spesso settoriale è il rigido controllo sia statale che religioso.

Altra fondamentale e grave causa di questo rallentamento è quella rappresentata dalle frequenti guerre interne, susseguitesi in tempi e paesi diversi – Iraq, Libano, Yemen, Egitto, Libia, Siria – lasciandosi alle spalle situazioni catastrofiche per le realtà editoriali, che ne escono, se non completamente distrutte, fortemente indebolite.

C’è poi il fattore censura, pratica diffusa in tutto il mondo arabo e in particolare nei paesi del Golfo, Giordania e Siria, che frena l’espansione del mercato, lo restringe e porta a investire altrove.
Fatta eccezione per i testi di natura religiosa, le sovvenzioni statali sono molto scarse, e le case editrici si trovano spesso a dover dipendere da associazioni e fondazioni private, molte delle quali saudite, costrette a investire all’estero.

Tuttavia, negli ultimi anni si assiste all’emergenza di nuovi attori dell’editoria, portatori del cosiddetto panarabismo culturale.

Ed è proprio il settore dedicato all’infanzia a fare da traino. L’editoria per ragazzi, il cui motore è storicamente la causa palestinese, oggi è arricchita e modernizzata: la questione politica continua sì a essere presente negli albi, ma in modo meno pedante: la famiglia e l’attenzione verso i bambini sono cambiate, e si ricercano più spesso temi quali l’individualità e il ruolo delle bambine.
La produzione editoriale contemporanea preferisce interrogare piuttosto che dare risposte preconfezionate.

Un aspetto fondamentale del mondo del libro arabo è che viene pensato nella sua globalità: gli editori pubblicano rivolgendosi a tutti i lettori in lingua araba, pur seguendo ciascun paese la propria specialità – l’Iraq la poesia, il Cairo e Beirut i testi religiosi e i dizionari, ecc. Per questo motivo sono indispensabili le fiere – come ad esempio il Salone Internazionale dell’Edizione e del Libro (SIEL) di Casablanca –, che costituiscono i luoghi di osservazione della produzione dei vari paesi arabi e importanti occasioni per formare progetti di co-edizione. Le fiere sono dei gran bazar del libro nel solco dell’antica tradizione araba dell’arte di mercanteggiare.

Si sta inoltre diffondendo una politica di promozione della cultura araba, di cui Abu Dhabi è un centro importante, attraverso la traduzione – progetti come Kalima permettono agli editori arabi di pubblicare opere letterarie e scientifiche – e i premi letterari, come il prestigioso International Prize for Arabic Fiction che ricompensa ogni anno un romanzo arabo assicurandone il riconoscimento e la diffusione internazionali.

Una nota di merito va all’Italia, molto attenta agli scrittori arabi, promossi grazie all’impegno di tante e importanti case editrici.

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Per le fonti di questo articolo si veda l’opera collettiva Regards sur l’édition dans le monde arabe, a cura di Charif Majdalani e Franck Mermier. Edizioni Karthala, 2016.