di Dora Vedova
In Giappone esiste un fornito fan club dello scrittore Murakami Haruki (nell’odine giapponese di cognome e nome) che non ha nulla da invidiare a quello di una rock star. Lo scrittore infatti si è guadagnato un grande successo, tanto da essere ormai seguito da uno stuolo di partigiani.
Da anni i cosiddetti harukisti si radunano per le occasioni più varie: dalle veglie alla vigilia della proclamazione del Nobel per la letteratura (finora ahiloro disatteso), a maratone di lettura con fornitura di bevande, snack e copertine, fino all’attesa della mezzanotte per l’apertura straordinaria delle librerie all’uscita dei nuovi romanzi.
Oltre al fan club così nipponicamente ben organizzato, esiste anche il blog dei traduttori di Haruki Murakami, usato principalmente per scambiarsi consigli nel mai facile lavoro di traduzione. Così, grazie al fatto che loro, i traduttori, possono evidentemente leggere il giapponese, anche i non nippofoni possono venire a conoscenza delle bizzarrie degli harukisti, come i disegni sulle possibili sembianze dei protagonisti o gli schemi di lettura illustrati fai da te.
Haruki Murakami è amatissimo anche all’estero. È lo scrittore giapponese più conosciuto e, soprattutto, più venduto (parliamo di milioni di copie). Tra i detrattori, perché ovviamente ci sono anche quelli, c’è chi lo accusa di essere un uomo d’affari della scrittura, che pianifica a tavolino con editori, redattori e traduttori la strategia migliore per ottenere super incassi.
Il 24 febbraio scorso è uscito l’ultimo attesissimo romanzo, Kishidanchō goroshi (騎士団長殺し, in italiano L’omicidio del commendatore), che uscirà in due volumi da 2000 pagine per Einaudi nell’autunno 2018. Murakami non svela nulla perché vuole che ogni suo libro sia una totale sorpresa, ma spulciando bene tra blog e riviste qualcosina è trapelata.
Innanzitutto è confermata la presenza dei temi harukiani, a partire dalla stranezza, filo rosso di quasi tutta la sua opera:
«Scrivo storie strane. Non so perché […] Sono una persona molto realista […] però quando scrivo, scrivo di stranezze».
I passaggi liquidi e gommosi dal reale al surreale prendono ora un senso psicanalitico, una metafora più nitida, segno della maturità dell’autore. La scoperta da parte di un pittore (il narratore protagonista senza nome) di un buco sotterraneo e dell’inedito capolavoro di un altro pittore sono i pretesti per i suddetti passaggi di stato, espedienti per spiegare metaforicamente gli avvenimenti della vita del protagonista, visto tra l’altro in chiave autobiografica. Il titolo del quadro, L’omicidio del commendatore, fa riferimento al Don Giovanni di Mozart, essendo la musica un altro filo rosso delle opere di Murakami. Racconti nel racconto aggiungono materiale di “studio psicologico” anche corale, come il riferimento a catastrofi naturali (il terremoto del 2011) o storico-umane (il nazismo, il massacro di Nanchino) e al loro effetto sulla società e la memoria collettiva.
La novità è nel chiudere il romanzo in modo compiuto: le riflessioni sul senso della vita e le sue avversità portano a delle risposte infine confortanti che spronano a vivere. Una vita strana, ovviamente.