di Dora Vedova
Schatten (Eurydike sagt) [ovvero: Ombra (Euridice parla)] è una pièce teatrale di Elfriede Jelinek, scritta nel 2012 e messa in scena al teatro Schaubühne di Berlino. Un mese fa è stata rappresentata per la prima volta in Francia, al Théâtre National de la Colline di Parigi. Per l’occasione la pièce è stata tradotta in francese ed ora è pubblicata da Arche Editeur, specializzato in teatro contemporaneo.
Le opere di Elfriede Jelinek (romanzi e pièce teatrali) si trovano raramente in traduzione perché la sua scrittura è molto particolare e difficile. La sperimentazione spazia dalla forma linguistica al contenuto. Musicista di formazione, la scrittrice austriaca crea una grande musicalità con le parole. Allo stesso tempo la sua scrittura poetica, astratta, non discorsiva, destruttura il linguaggio e lo ripropone frammentato. Questa procedura è indissolubilmente legata a un’intenzione politica e sociale fortemente critica della società austriaca che, secondo l’autrice, non ha superato il suo passato nazista e patriarcale.
Per tutti questi motivi, la complessità della scrittura di Elfriede Jelinek risulta spesso intraducibile se si vuole riportarla ogni suo aspetto. Nel teatro poi, anche per attori e registi la rappresentazione è una sfida non indifferente. Per Lia Secci infatti, studiosa di teatro tedesco espressionista e contemporaneo, i «lavori della Jelinek sono opere d’arte composte linguisticamente fino al minimo dettaglio, e una preparazione per la scena non presuppone solo un’analisi intensiva delle immagini verbali e della loro elaborazione strutturale e tematica, bensì anche una sensibilità musicale, che sappia operare con l’elemento sonoro e ritmico».
Per la rappresentazione di Schatten (Eurydike sagt) si è trovata la soluzione di mantenere la recitazione in tedesco con i sottotitoli in francese, così da salvare la musicalità originale. La regia è della britannica Katie Mitchell, considerata oggi tra le interpreti più autorevoli e creative del teatro europeo contemporaneo. La sinergia tra queste due donne “toste”, scrittrice e regista, ha sortito un ottimo risultato, del resto già sperimentato l’anno precedente sempre a Berlino, all’insegna della crudezza di parole e immagini.
Elfriede Jelinek, insignita tra molti altri premi del Nobel per la letteratura nel 2004, è una donna controversa, estrema, dai forti dissidi interiori che riversa nella scrittura tramite un linguaggio oscuro, tetro, lacerato ma sempre musicale, caratterizzato da un’estrema poliedricità di stili. Il suo approccio ai temi a lei cari è provocatorio, al limite della pornografia di cui è spesso accusata.
Con Euridice continua la sua esplorazione dei miti femminili, interpretando il personaggio in chiave moderna e mettendolo in una prospettiva ribaltata e provocatoria. Euridice è qui una scrittrice dei nostri giorni, soggiogata da Orfeo, suo marito cantante e rock star, caricatura del maschio macho, egocentrico e possessivo. Euridice vede il suo viaggio nel regno dei morti come una scappatoia dall’umiliazione subita in terra, il mezzo per consacrarsi alla scrittura, lontana dal mondo. Ombra muta di Orfeo da viva, finalmente libera da morta tra le ombre.