di Dora Vedova
Nel 2007 moriva Bernard Pennacchioni, fratello prediletto di Daniel Pennac, di 5 anni più grande, lasciando lo scrittore orfano di chi lo aveva allevato e iniziato alla passione per la letteratura.
Uomo mite, aveva un innato senso dell’ironia: pare che spinse l’appena dodicenne Daniel a leggere Guerra e Pace di Tolstoj stuzzicandone la curiosità con una frasetta enigmatica e irresistibile: «È la storia di una ragazza che ama un tipo e ne sposa un altro».
Pennac soffrì molto la perdita prematura del fratello, che considerava piuttosto un gemello per la particolarità del loro attaccamento, per quel modo tutto loro di essere vicini senza tuttavia confidarsi nulla, l’educazione di una famiglia di militari ne aveva posto il divieto:
«Parlavamo delle cose girandoci intorno, spesso commentando i libri che leggevamo.
La letteratura ci faceva da trincea».
Aveva tentato di scrivere sul fratello subito dopo la sua morte, ma un potente fenomeno emozionale gli bloccò la memoria. Non sapeva chi fosse davvero quell’uomo che tanto amava, era come se i ricordi fossero andati via insieme a lui.
Decise allora di lavorare all’adattamento teatrale di Bartleby, lo scrivano di Melville, di cui aveva condiviso la passione col fratello, proprio in virtù della somiglianza davvero singolare di questo personaggio con Bernard. In scena Pennac cominciò a percepire la sua presenza, gli sembrava di sentirlo arrivare discretamente, un riavvicinamento che l’emozione della perdita, dopo lo shock, finalmente permetteva.
Poi, un anno fa, ovvero 10 anni dopo la scomparsa, Pennac si sveglia una mattina con una chiara immagine in testa: una Ferrari lo supera nell’autostrada del Sud, in un attimo è un puntino rosso lontano all’orizzonte. Il rombo del motore, la velocità, la competizione gli fanno balenare un pensiero: «sono appena stato superato dall’esatto contrario di mio fratello». Si alza e si precipita a scrivere la scena. È così che ha preso forma Mon frère (Mio fratello), uscito a marzo per Gallimard, e da quella immagine tutto il resto si è dipanato da sé, sciogliendo in una scrittura delicata ma sempre ironica i ricordi teneri, divertenti e pungenti del fratello.
Pennac ne confeziona il ritratto facendo alternare estratti della pièce su Bartleby ad aneddoti su Bernard, compagno insostituibile di una vita, complice e sostenitore. Il libro evidenzia la straordinaria somiglianza tra i due personaggi, entrambi lontani dalla mondanità e dal rumoroso consorzio umano, inadatti al consumo futile, uguali nella ferma volontà di non incrementare l’entropia. La celebre replica di Bartleby I would prefer not to li accomuna nella rara caratteristica di esseri non-desideranti.
Mon frère arriva dopo un lungo periodo di incubazione e di elaborazione di un lutto vissuto come un tradimento del destino: il disorientamento di Pennac fu tale da rischiare a sua volta la vita cadendo da una scogliera!
C’è voluto il suo tempo per ritrovare le parole che ricucissero lo strappo di quel fratello tanto caro e singolare.