di Dora Vedova
Nel 1949 esce in Inghilterra 1984 (Nineteen Eighty-Four) di George Orwell. L’edizione francese è del 1950, nella traduzione di Amélie Audiberti, che da allora – ovvero da 68 anni – è sempre stata riproposta nelle varie edizioni per Gallimard. Ora, nel 2018, Gallimard pubblica l’ultima edizione in una nuova traduzione, di Josée Kamoun, inglesista e traduttrice, tra gli altri, di John Irving e Philip Roth, che riporta in evidenza la plasticità e la crudezza del testo.
Secondo il critico Jean-Jacques Rosat, filosofo e studioso di Orwell, 1984 non è mai stato riconosciuto in Francia come un vero e proprio romanzo proprio a causa della prima e longeva traduzione, che pur essendo «onesta, giudiziosa e a tratti inventiva» è rimasta «scialba, monotona, rigida e spesso confusa». La nuova traduzione è dunque un evento per il mondo letterario francese, che finalmente riconosce 1984 come un autentico romanzo.
Nel resto del mondo, 1984 di Orwell è un pilastro fondamentale della distopia, un immortale, un cult, un caso più unico che raro, non di un mito, ma di un anti-modello di società cui non si può fare a meno di riferirsi. Tant’è che periodicamente si assiste a un picco di vendite, dovuto probabilmente alla sensazione comune di vivere una realtà pericolosamente vicina alla finzione del romanzo. È avvenuto ad esempio negli Stati Uniti nel 2013, in corrispondenza della denuncia di Snowden sui programmi governativi di sorveglianza di massa, e nel 2016, con l’elezione di Trump e l’entrata in scena del suo sistema di manipolazione della narrazione dei fatti.
La nuova traduzione è molto attenta alla lingua e al ritmo, il tempo preferito è il presente, i personaggi prendono corpo e si muovono in uno scenario verosimile. Anche i dialoghi sono resi più vivi: Julia parla come una donna disinibita di oggi, rendendo le conversazioni politico-amorose che ha con Winston credibili così come lo sono quelle, ben più torbide, tra il commissario politico e l’intellettuale dissidente. In alcuni passaggi, secondo Rosat, la nuova traduzione restituisce al testo una forza poetica che lo rende perfino commovente.
Se da un lato Josée Kamoun ha reso finalmente giustizia alla forma letteraria di 1984, continua Rosat nella sua disamina, dall’altro ha, involontariamente ma sintomaticamente, oscurato il pensiero filosofico sotteso al romanzo. Kamoun infatti ha deciso di ritradurre le parole di conio orwelliano che rappresentano i concetti-chiave del libro e che con la vecchia traduzione erano entrate nel linguaggio comune e fatte proprie da milioni di lettori, che ora si trovano un tantino disorientati.
Rosat lamenta la poca considerazione che si ha in Francia del pensiero di Orwell – che trova invece ampio spazio nella filosofia anglosassone, particolarmente attenta alla sua riflessione sulla “politica della lingua” – e si chiede quanto si dovrà aspettare affinché, dopo essere stato riconosciuto come un vero romanzo, 1984 venga riconosciuto anche come l’opera di un vero pensatore.