di Dora Vedova
Negli anni ‘40 confluiscono negli Stati Uniti numerosi intellettuali e studiosi europei in fuga dalla Seconda guerra mondiale. Il loro incontro, seppur scaturito dalle persecuzioni della guerra, è stato positivo e importante, in alcuni casi decisivo. Nel 1942 a New York si conoscono il linguista russo Roman Jakobson (1896-1982) e l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss (1908-2009), esponenti di spicco di due discipline fino ad allora molto lontane. Da questo fatidico incontro e dalla lunga corrispondenza successiva nasce e si sviluppa lo Strutturalismo.
Roman Jakobson, il più vecchio dei due, aveva già una proficua carriera alle spalle: aveva insegnato a Mosca, poi a Praga e, in seguito all’invasione nazista della Cecoslovacchia, in Norvegia e Svezia, fondando un circolo linguistico in ciascuno di questi luoghi. Parlava otto lingue e nutriva per la linguistica una grande passione. A lui si deve la Teoria della comunicazione e, influenzato dalle teorie di De Saussure, è stato tra i promotori più importanti dello Strutturalismo applicato alla linguistica e alla scienza del testo.
Ciò che attrasse in particolar modo l’attenzione di Lévi-Strauss fu il concetto di fonema su cui stava lavorando Jakobson, ovvero l’unità linguistica minima dotata di valore distintivo, attraverso cui aveva potuto individuare gli universali linguistici alla base di ogni lingua. Il metodo strutturalista di reperimento delle forme invariabili fu preso a modello da Lévi-Strauss che lo applicò alla sua analisi dei miti. Da quel momento lo Strutturalismo venne applicato a tutte le discipline umanistiche che finalmente potevano godere di valore e riconoscimento scientifici.
A guerra finita, Lévi-Strauss rientrò in Francia ma non perse mai i contatti con Jakobson, che incontrava tutte le volte che ce n’era occasione, ivi comprese fugaci ma intense chiacchierate in aeroporto tra America ed Europa. La corrispondenza ora pubblicata da Seuil (Roman Jakobson, Claude Lévi-Strauss. Correspondance: 1942-1982) rappresenta gli scambi tra i due pensatori tra un incontro fisico e l’altro, creando una comunicazione praticamente ininterrotta durata quarant’anni.
Nelle Corrispondenze tuttavia si trovano raramente delle discussioni scritte che abbiano la stessa intensità dei loro incontri. Si tratta piuttosto di scambi di libri, di testi e di informazioni su una certa lingua, una certa parola o un certo popolo.
È dunque appassionante ritrovare tra le righe la celebre analisi dei Gatti di Baudelaire, uno dei testi fondatori dello Strutturalismo in critica letteraria, che i due si scambiarono come regalo per i loro vent’anni di conoscenza. Nello scambio epistolare generalmente piuttosto freddo e professionale, rarità come questa riscaldano le pagine, così come una strana richiesta di spiegazioni da parte di Lévi-Strauss (erano entrambi di origine ebraica) su un insolito commento del Talmud che prescrive di “cuocere l’orzo gridando e le lenticchie in silenzio”.
Immergersi nella corrispondenza tra questi due uomini di grande rilievo intellettuale significa assaporare l’intima umanità di chi si sapeva eccezionale e percepiva la necessità della propria missione. È un po’ come entrare nello studio di due stregoni e assistere a esperimenti di grande intelligenza, sensibilità e pure un po’ di geniale assurdità.