di Dora Vedova
Nurit Peled-Elhanan, israeliana ebrea, è militante pacifista da sempre per tradizione familiare. La sua voce si alza dissidente e dissacrante. Insegna Scienze del linguaggio all’Università Ebraica di Gerusalemme e al David Yellin College of Education per insegnanti. Nel 2001 il Parlamento Europeo le ha conferito il Premio Sacharov per la libertà di pensiero e i diritti umani.
La Palestina nei testi scolastici di Israele – Ideologia e propaganda nell’istruzione esce nel Regno Unito nel 2012 e in Italia nel 2015, per le edizioni Gruppo Abele.
Nel volume sono analizzati libri scolastici di storia, geografia, educazione civica, e rilevati scientificamente gli espedienti semiotici usati dagli autori e dal Ministero dell’Istruzione israeliana per propagandare l’ideologia sionista, che non prevede la presenza dei palestinesi.
Di seguito l’intervista.
Le conclusioni della sua ricerca sono sorprendenti, non ci si aspetta che Israele, paese democratico, abbia un atteggiamento così rigido, unilaterale e razzista nell’istruzione.
Sì, in Israele per avere l’autorizzazione del Ministero dell’Istruzione è necessario che i libri scolastici seguano le linee dell’ideologia sionista, che è razzista.
Ciò avviene più o meno coscientemente. In semiotica si parla di segno motivato. Motivati lo si è per ciò che siamo, per le nostre opinioni e percezioni. Si può parlare di segno motivato riguardo al visuale, ma per i testi verbali sono scelte intenzionali, ci sono sicuramente delle istruzioni sui termini e i concetti da usare: i palestinesi non sono mai visti come vittime, né come individui, solo come gruppo omogeneo sottosviluppato. Non si citano mai i nomi dei villaggi palestinesi distrutti da Israele, come se non fossero esistiti. Quando ho chiesto a Eyal Naveh [autore di testi scolastici di storia, ndr]: «Tu che sei uno storico e sai bene che non è stato un megafono guasto a rendere inevitabile il massacro di Deir Yassin, perché lo scrivi?! Come puoi dire che il massacro di Qibya ha dato “una certa sicurezza” ai cittadini ebrei?!», mi ha risposto che sono l’unica a farci caso, ammettendo infine di essere obbligato per avere l’autorizzazione dal Ministero.
Nel libro cita alcuni politici. Sono coscienti della costruzione del discorso razzista?
Sì, non c’è dubbio. I politici sanno esattamente quello che dicono e come lo dicono. Ma sono talmente razzisti da non capire perché il resto del mondo li disapprovi.
Il discorso razzista segue dei principi, come non mostrare dove vivono le persone per toglierne l’umanità. C’è una logica della colonizzazione che è l’eliminazione, attivata dalla logica di disumanizzazione. La morale non funziona più se davanti si hanno problemi invece che persone. Nei libri israeliani un intero popolo è chiamato “problema”. Si direbbero libri nazisti. Bisogna evidenziare la comparazione, perché è proprio qui il punto!
Sembra un complesso che gli ebrei ripropongono dal tempo dei nazisti.
Fin dalla sua fondazione il sionismo voleva dimostrare che l’élite ebrea era ariana, così oggi in Israele ci ritroviamo con questo retaggio antisemita per cui ancora cerchiamo di sembrare ariani. Nei libri tutti i bambini sono biondi con gli occhi azzurri! È un’educazione visiva terribile e distorta dove i bambini imparano chi è al centro e chi è escluso.
Ora a Gaza vengono erogate due ore e mezza di elettricità al giorno. Ho scritto un’email a tutti i membri del Parlamento europeo: «economizzate sull’elettricità per non sprecare il gas. Hitler sarebbe stato fiero dell’idea!» Ecco il paragone!
Il suo libro è esplosivo, il dibattito dovrebbe infuriare in Israele. Invece il suo lavoro è ignorato. Non c’è una vera censura, la difesa è il silenzio.
Sì, ma non è ufficiale. Chi si occupa di questi temi all’università sceglie di ignorarmi. Non è un’ingiunzione dall’alto. Non possono dire niente sul rigore e la qualità della mia ricerca accademica, così attaccano la mia persona o si fa di tutto per impedire il dibattito: per esempio, a Gerusalemme Est la polizia non ha permesso la conferenza. Al secondo tentativo io e la mia collega palestinese abbiamo potuto esporre. A lei sono state rivolte le domande accademiche, a me quelle personali. Ma l’argomento non sono io, c’è un oggetto di studio su cui discutere! Il discorso viene stornato. Il mio lavoro viene percepito come una curiosità.
All’università dove insegno non ho avuto nemmeno le congratulazioni per la pubblicazione. L’argomento non interessa a nessuno, non esiste. E lo stesso vale per la sinistra e gli intellettuali del Paese, sono attenti solo alle questioni interne alla società israeliana ebrea. Di fronte ai palestinesi l’impegno decade.
È possibile emanciparsi dalla rigida struttura ideologica ricevuta?
È molto difficile e dico che il sistema scolastico israeliano è un abuso, perché i bambini non ricevono la formazione di cui hanno bisogno per sapere dove vivono. Non si dice nulla sul Medioriente. I palestinesi sono caricaturizzati. Nel libro di storia più consigliato dal Ministero non c’è una sola fotografia di palestinesi, solo vignette dell’iconografia coloniale inglese. La constatazione più scioccante è che è possibile educare i bambini a vedere altri bambini come non esseri umani. È la mentalità nazista.
Invece in Palestina il suo libro fa molto parlare.
Il Ministro dell’Istruzione palestinese acquista decine di copie ogni anno per distribuirle agli insegnanti. E il libro è stato adottato come testo all’Università di Bir Zeit. Io non posso essere invitata per via del boicottaggio, ma studiano il mio libro.
Penso che i palestinesi credano che gli israeliani siano così terribili nei loro confronti a causa dei complessi della Shoah. Quando vedono quello che mostro nel libro sono scioccati perché si rendono conto che le cose non sono affatto così, che c’è un grande piano per eliminarli.
Se non è possibile penetrare nella barriera ideologica israeliana dal di dentro, può fare qualcosa la pressione internazionale?
Sono invitata in molti Paesi tra quelli in cui posso viaggiare e vedo un interesse crescente, ma finché Israele riceve 11 milioni di dollari al giorno dagli Stati Uniti per mantenere l’occupazione, la vedo dura. Però a piccoli passi… Vedo i miei corsi di formazione per insegnanti… in tanti anni un solo studente ha lasciato il corso. La maggior parte di loro sono ebrei orientali e io comincio proprio dal razzismo nei loro confronti per arrivare ai palestinesi. Le loro reazioni sono sempre ricettive. Non so poi cosa faranno di questa consapevolezza. Certo è che una volta che si sa qualcosa non si può far finta di non saperla. Gli studenti escono trasformati in un modo o nell’altro.
Il resto è politica. L’obiettivo non è influenzare i politici. Oggi esiste una società civile internazionale cui far riferimento per crearci un piccolo mondo alternativo dove vivere, educare i figli, invitare amici come noi. L’obiettivo è fare realmente qualcosa, poter aiutare qualcuno. Senza desistere.