di Dora Vedova

Il 14 settembre è uscito per le Éditions Futuropolis L’Automne à Pékin, graphic novel che rivisita l’omonimo romanzo di Boris Vian, riedito a sua volta dalle Éditions Pauvert.

copertina di L’Automne à Pékin, di Gaëtan e Paul Brizzi (Éditions Futuropolis, 2017)

Autunno a Pechino (1947) incarna le bizzarrie più stravaganti dell’invenzione letteraria post-dadaista e parla di niente, a cominciare dal titolo, non trattando il romanzo né di autunno né di Pechino.
Siamo invece negli anni ’50, e uno stuolo di personaggi strampalati si ritrova per i motivi più insensati intorno alla costruzione perfettamente inutile di una ferrovia in pieno deserto di Exopotamia, alla periferia di Parigi. Oggetti animati agiscono in maniera autonoma in comiche situazioni incongrue, come l’autobus-gatto 975 che fa le fusa o la sedia Luigi XV che geme e si lamenta ed è perciò curata all’ospedale.

In questo contesto, ingegneri, segretarie, archeologi, preti, imprenditori, osti e professori animano le varie trame senza capo né coda. Alla storia d’amore, principale filone narrativo, si interseca la feroce e dissacrante critica sociale, che lascia infine spazio al sentimento tragico del nulla.

Attraverso fantastiche piroette linguistiche, sortite comico-grottesche e scenari ben oltre l’improbabile, il romanzo culmina in un finale disperato in cui quasi tutti i personaggi muoiono e la ferrovia sprofonda nel deserto.
È questo, forse, il riflesso dell’intima visione pessimista che si cela dietro l’esorbitante vitalità di quell’uomo dallo sguardo spiritato che è stato Boris Vian. Stroncato nemmeno quarantenne da un arresto cardiaco, è riuscito a fare di tutto: ingegnere, scrittore, giallista, autore di fantascienza e traduttore, drammaturgo e poeta, commediografo e attore, trombettista jazz, paroliere, compositore, critico musicale e altro ancora.

I fratelli (gemelli, per la precisione) Gaëtan e Paul Brizzi – fin da ragazzi lettori ammirati di Autunno a Pechino – avevano da tempo in mente di trasporlo in un film d’animazione, arte in cui sono maestri. Non hanno mai portato a termine questo progetto perché il romanzo difficilmente poteva adattarsi al grande pubblico, a causa della complessità della sua struttura e della moltitudine dei personaggi e degli spazi che attraversano.

Trovandosi a essere anche ottimi illustratori, optano infine per l’adattamento a fumetto. Nel lavoro di riscrittura i Brizzi intervengono per rendere il racconto più accessibile reinterpretandolo in una chiave più ottimista. Selezionando i passaggi meno violenti e più divertenti, hanno smussato i difetti esagerati dei personaggi e trattato con più delicatezza temi come l’omosessualità e la misoginia.

Se Vian, in virtù della sua adesione alla Patafisica1, è legittimato a creare un universo caratterizzato dal dominio del possibile, e quindi anche dell’assurdo, l’interpretazione dei fratelli Brizzi punta a tradurre il gioco surrealista degli eccessi in una dimensione meno estrema e più consona allo spirito dei nostri giorni, invitando i lettori a scoprire un testo difficile ma profondamente stimolante.

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1La Patafisica è una corrente artistica ideata da Alfred Jarry e definita come «la scienza delle soluzioni immaginarie che accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti per la loro virtualità», ovvero la scienza che si prefigge di studiare il particolare e le eccezioni e spiegare l’universo supplementare al nostro.